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Franz Kafka ed il socialismo libertario
di Michael Löwy
Articolo pubblicato online il 30 gennaio 2011

Michael Löwy, "Franz Kafka et le socialisme libertaire", da: Réfractions, n° 3, 1998.

Traduzione di Ario Libert

La Tradizione Libertaria


Va da sé che non si può ridurre l’opera di Kafka ad una dottrina politica, qualunque essa sia. Kafka non produce dei discorsi, ma crea degli individui e delle situazioni ed esprime nella sua opera delle opinioni, degli atteggiamenti, un’atmosfera. Il mondo simbolico della letteratura è irriducibile al mondo discorsivo delle ideologie: l’opera letteraria non è un sistema concettuale astratto, sull’esempio delle dottrine filosofiche o politiche, ma creazione di un universo immaginario concreto di personaggi e cose [1]. Tuttavia, ciò non impedisce di esplorare i passaggi, le passerelle, i legami sotterranei tra il suo spirito antiautoritario, la sua sensibilità libertaria, le sue simpatie per l’anarchismo da una parte ed i suoi principali scritti dall’altra. Questi passaggi ci aprono un accesso privilegiato a ciò che potremo chiamare il paesaggio interno dell’opera di Kafka. Le inclinazioni socialiste di Kafka si sono manifestate molto presto: secondo il suo amico di gioventù e compagno di liceo Hugo Bergmann, la loro amicizia si era un po’ raffreddata durante il primo anno scolastico (1900-1901), perché "il suo socialismo ed il mio sionismo erano troppo forti" [2]. Di quale socialismo si tratta?

Tre testimonianze di contemporanei cechi documentano la simpatia che lo scrittore praghese aveva per i socialisti libertari cechi e la sua partecipazione ad alcune delle loro attività. Agli inizi degli anni 30, nel corso delle sue ricerche in vista della redazione del romanzo Stefan Rott (1931), Max Brod raccolse delle informazioni da uno dei fondatori del movimento anarchico ceco, Michal Kacha. Esse concernono la presenza di Kafka alle riunioni del Klub Mladych (club dei Giovani), organizzazione libertaria, antimilitarista ed anticlericale, frequentata da molti scrittori cechi (S. Neumann, Mares, Hasek). Integrando queste informazioni- che gli furono "confermate da altre parti"- Brod scrive nel suo romanzo che Kafka "assisteva spesso, in silenzio, alle sedute del circolo". Kacha lo trovava simpatico e lo chiamava "Klidas" che significa "il silenzioso" o più esattamente seguendo il gergo ceco "colosso di silenzio", Max Brod non ha mai posto in discussione la veridicità di questa testimonianza, che citerà di nuovo nella sua biografia su Kafka [3].

La seconda testimonianza è quella dello scrittore anarchico Michal Mares, che aveva fatto la conoscenza di Kafka in strada (erano vicini di casa). Secondo Mares- il cui documento fu pubblicato da Klaus Wagenbach nel 1958-, Kafka era venuto, su suo invito, ad una manifestazione contro l’esecuzione di Francisco Ferrer, l’educatore libertario spagnolo, nell’ottobre 1909. Nel corso degli anni 1910-12, avrebbe assitito a delle conferenza anarchiche sull’amore libero, sulla Comune di Parigi, sulla pace, contro l’esecuzione del militante parigini Liabeuf, organizzate dal Club dei Giovani, dall’associazione "Vilem Körber" (anticlericale ed antimilitarista) e dal Movimento anarchico ceco. Avrebbe anche, in diverse occasioni, pagato cinque corone di cauzione per far liberare il suo amico dalla prigione. Mares insiste, in modo analogo a Kacha, sul silenzio di Kafka: "A mia conoscenza, Kafka non apparteneva ad nessuna di queste organizzazioni anarchiche, ma aveva per esse le forti simpatie di un uomo sensibile ed aperto ai problemi sociali. Tuttavia, malgrado l’interesse che egli aveva per queste riunioni (vista la sua assiduità), non interveniva mai nelle discussioni".

Quest’interesse si sarebbe manifestato anche nelle sue letture- le Parole di un ribelle di Kropotkin (regalo dello stesso Mares), così come degli scritti dei fratelli Reclus, di Bakunin e di Jean Grave- e nelle sue simpatie: "Il destino dell’anarchico Ravachol o la tragedia di Emma Goldmann che editò Mother Earth lo toccavano particolarmente..." [4]. Questa testimonianza era apparsa nel 1946, in una rivista ceca, sotto una versione un po’ diversa, senza attirare l’attenzione [5]. Ma è dopo la sua pubblicazione in appendice di un notevole libro di Klaus Wagenbach sulla giovinezza di Kafka (1958)- la prima opera a mettere in luce i legami dello scrittore con gli ambienti libertari praghesi- che provocherà una serie di polemiche, miranti a porre in questione la sua credibilità.

Il terzo documento sono le Conversazioni con Kafka di Gustav Janouch, apparso in prima edizione nel 1951 ed in una seconda, considerevolmente ampliata, nel 1968. Questa testimonianza, che si riferisce a degli scambi con lo scrittore praghese nel corso degli ultimi anni della sua vita (a partire dal 1920), suggerisce che Kafka conservava la sua simpatia per i libertari. Non soltanto qualifica gli anarchici cechi come uomini "molto gentili ed allegri", così "gentili ed amichevoli che si trova obbligato a credere ad ognuna delle loro parole", ma le idee politiche e sociali che egli esprime nel corso di queste conversazioni rimangono fortemente segnate dalla corrente libertaria. Ad esempio, la sua definizione del capitalismo come "un sistema di rapporti di dipendenza" in cui "tutto è gerarchizzato, tutto è incatenato" è tipicamente anarchica, per la sua insistenza sul carattere autoritario di questo sistema- e non sullo sfruttamento economico come fa il marxismo. Anche il suo atteggiamento scettico verso il movimento operaio organizzato sembra ispirato dalla diffidenza libertaria verso i partiti e le istituzioni politiche: dietro gli operai che sfilano "avanzano già i segretari, i burocrati, i politici professionali, tutti i sultani moderni di cui essi preparano l’accesso al potere... La rivoluzione sfuma, rimane soltanto allora la melma di una nuova burocrazia. Le catene dell’umanità torturata sono in carta ministeriale" [6].

Nella sua seconda edizione (1968), ritenuta riprodurre la versione completa delle sue note, perdute nel dopoguerra e ritrovate più tardi. Janouch riporta il seguente scambio con Kafka: "Avete studiato la vita di Ravachol? Sì! E non soltanto quella di Ravachol, ma nache la vita di diversi autori anarchici. Mi sono tuffato nelle biografie e le idee di Godwin, di Proudhon, di Stirner, di Bakunin, di Kropotkin, di Tucker e di Tolstoj; ho frequentato diversi gruppi, assitito a delle riunioni, in breve ho investito in quest’affare molto tempo e denaro. Ho preso parte nel 1910 alle riunioni che tenevano gli anarchici cechi in una taverna di Karolinental chiamata "Zum Kanonenkreuz", in cui si riuniva il circolo anarchico detto Circolo dei Giovani... Max Brod mi accompagnò molte volte a queste riunioni, che in fondo non gli piacevano affatto, [...] Per me, si trattava di una cosa molto seria. Ero sulle tracce di Ravachol. Esse mi portarono in seguito ad Erich Mühsam, ad Arthur Holitscher ed all’anarchico viennese Rudolf Grossman [7] Cercavano tutti di realizzare la felicità degli uomini senza la Grazia. Li capivo. Tuttavia [...] non potevo continuare a lungo a camminare al loro fianco [8].

Secondo l’opinione più diffusa dei commentatori, questa seconda versione è meno credibile della prima, soprattutto per la sua origine misteriosa (degli appunti perduti e ritrovati). Bisogna aggiungere, nel caso specifico che ci interessa, un errore evidente: Max Brod, di sua propria ammissione, non soltanto non ha mai accompagnato il suo amico alle riunioni del club anarchico, ma ignorava tutto della sua partecipazione alle attività dei libertari praghesi. L’ipotesi suggerita da questi documenti- l’interesse di Kafka per le idee libertarie- è confermata da alcuni riferimenti nei suoi scritti intimi.

Ad esempio, nel suo diario troviamo questo imperativo categorico: "Non dimenticare Kropotkin!"; e, in una lettera a Max Brod del novembre del 1917, manifesta il suo entusiasmo per un progetto di rivista (Foglio di lotta contro la volonta di potenza) proposto dall’anarchico freudiano Otto Gross [9]. Senza dimenticare lo spirito libertario che sembra ispirare alcune delle sue dichiarazioni; ad esempio, la piccola osservazione caustica che egli fece un giorno a Max Brod, riferendosi al suo luogo di lavoro, l’Ufficio delle assicurazioni sociali (dove degli operai vittime di incidenti venivano a rivendicare i loro diritti): "Come sono umili questi uomini... Vengono a sollecitarci. Invece di prendere l’edificio d’assalto e mettere tutto a soqquadro, vengono a sollecitarci" [10].

È molto probabile che queste diverse testimonianze- soprattutto le due ultime- contengano delle inesattezze e delle esagerazioni. Klaus Wagenbach stesso riconosce (a proposito di Mares) che "alcuni dettagli sono forse falsi" o per lo meno "esagerati". Allo stesso modo, secondo Max Brod, Mares, come molti altri testimoni che hanno conosciuto Kafka, "tende ad esagerare", soprattutto per quanto concerne l’estensione dei suoi legami di amicizia con lo scrittore. In quanto a Janouch, se la prima versione dei suoi ricordi dà l’impressione "di autenticità e di credibilità", perché essi "recano dei segni distintivi dello stile con il quale Kafka parlava", la seconda gli sembra molto meno degna di fiducia [11].

Ma una cosa è constatare le contraddizioni o le esagerazioni di questi documenti ed un’altra è quella di respingerli in blocco, qualificando come "pura leggenda" le informazioni sui legami tra Kafka e gli anarchici cechi. È l’atteggiamento di alcuni specialisti, tra i quali Eduard Goldstücker, Hartmut Binder, Ritchie Robertson ed Ernst Pawel- il primo un critico letterario comunista ceco e gli altri tre altri tre autori di biografie di Kafka di cui non si può negare il valore. Il loro tentativo di evincere l’episodio anarchico nella vita di Kafka merita di essere discussa nel dettaglio, nella misura in cui essa ha delle implicazioni politiche evidenti. Secondo E. Goldstücker- molto noto per i suoi sforzi miranti a "riabilitare" Kafka in Cecoslovacchia nel corso degli anni 60- i ricordi di Mares riediti da Wagenbach "appartengono al regno della finzione". Il suo argomento centrale, è che non è concepibile che dei rivoluzionari, degli anarco-comunisti, abbiano accettato nelle loro riunioni "un uomo che non conoscevano" e che per di più rimaneva sempre in silenzio (secondo Kacha e Mares).

Ora, ciò che Goldstücker sembra stranamente dimenticare, è che Kafka non era uno "sconosciuto" ma, al contrario, personalmente conosciuto da due dei principali organizzatoti di queste riunioni: Michal Kacha e Michal Mares (così come da altri partecipanti come Rudolf Illowy, il suo vecchio amico di studi al liceo). Tuttavia- in modo un po’ contraddittorio con quanto detto detto in precedenza- Goldstücker finisce con l’ammettere la partecipazione di Kafka a delle attività anarchiche, sostenendo semplicemente che questa partecipazione non sarebbe durata alcuni anni come affermato da Mares, ma sarebbe stata limitata alla sua presenza ad "alcune riunioni". Ora, poiché Mares stesso non menziona concretamente che cinque riunioni, non si vede bene perché per quale ragione Goldstücker respinge categoricamente anche la sua testimonianza [12]. Hartmut Binder, autore di una biografia dettagliata e molto erudita di Kafka, è quello che sviluppa in modo più energico la tesi secondo la quale i legami tra Kafka e gli ambienti anarchici praghesi siano una "leggenda" che appartiene "al regno dell’immaginazione". Klaus Wagenbach è accusato di aver utilizzato delle fonti "che erano in accordo con la sua ideologia" (Kacha, Mares et Janouch), ma che "mancano di credibilità o sono anche delle falsificazioni deliberate" [13].

Il primo problema con questo tipo di ragionamento è il seguente: perché le tre testimonianze considerate "poco credibili" coincidono nell’affermazione dei legami tra Kafka ed i libertari? Perché non troviamo delle testimonianze "fittizia" sulla partecipazione ripetuta di Kafka a delle riunioni sioniste, comuniste o socialdemocratiche? È difficile da comprendere- tranne immaginare una cospirazione anarchica- perché vi sarebbero unicamente delle "falsificazioni" in questa precisa direzione. Ma esaminiamo da più vicino gli argomenti di Binder- la cui diatriba contro Wagenbach non è priva di motivi "ideologici".

A suo parere, il semplice fatto che Brod non abbai saputo di queste pretese attività soltanto alcuni anni dopo la morte di Kafka, da parte di Michal Kacha, un vecchio membro di questo movimento anarchico [...] testimonia contro la credibilità di questa informazione. Perché è quasi inimmaginabile che Brod, che a quest’epoca intraprese due viaggi di vacanze con Kafka e che lo incontrava quotidianamente [...], abbia potuto ignorare l’interesse del suo migliore amico per il movimento anarchico". Ora, se ciò è "quasi inimmaginabile" (constatiamo comunque che il "quasi" lascia un margine al dubbio), come mai il principale interessato, cioè Max Brod stesso, considerava quest’informazione come perfettamente attendibile, poiché l’ha utilizzata anche nel suo romanzo Stefan Rott che nella biografia del suo amico? La stessa cosa vale per un altro argomento di Binder: "ascoltare, in una birreria fumosa, delle discussioni politiche di un gruppo che agiva al di fuori della legalità... è una situazione inimmaginabile per la personalità di Kafka". Eppure, questa situazione non aveva nulla di strano agli occhi di Max Brod, che conosceva tuttavia qualcosa della personalità di Kafka. Comunque, nulla nell’opera di Kafka lascia intendere che egli avesse un rispetto così superstizioso per la legalità! [14].

Zadruha Per tentare di sbarazzarsi una volta per tutte della testimonianza di Michal Mares, Binder si riferisce con insistenza ad una lettera di Kafka a Milena, in cui definisce Mares come "qualcuno incontrato per strada". Sviluppa il ragionamento seguente: Kafka sottolinea espressamente che la sua relazione con Mares è soltanto quella di un Gassenbekanntschaft (conoscenza di strada). Questa è l’indicazione più netta che Kafka non ha mai partecipato ad una riunione anarchica" [15]. Il meno che si possa dire è che tra la premessa e la conclusione c’è un non sequitur evidente! Tutto ciò che si può dedurre dalla lettera di Kafka a Milena, è che Mares ha, nella sua testimonianza del 1946, probabilmente esagerato i legami di amicizia tra Kafka e lui, ma non c’è alcuna contraddizione tra le loro relazioni episodiche e la partecipazione di Kafka a delle riunioni anarchiche dove si trovavano, tra gli altri, il giovane Mares.

Anche se la loro conoscenza si limitava a degli incontri nella strada (la casa di Kafka era vicina al luogo di lavoro di Mares), ciò non avrebbe impedito a Mares di passargli dei volantini e degli inviti per delle riunioni e manifestazioni, di constatare la sua presenza in alcune delle sue attività ed anche di omaggiarlo, all’occasione, con un esemplare del libro di Kropotkin [16]. Mares possiede, come prova materiale dei suoi legami con Kafka, una cartolina postale inviata dallo scrittore, datata 9 dicembre 1910. Egli afferma- ma è un’asserzione impossibile da verificare- che aveva ricevuto diverse lettere dal suo amico "scomparse durante le numerose perquisizioni effettuate a casa mia durante quest’epoca". Binder prende atto dell’esistenza di questo documento, ma partendo dal fatto che la cartolina era indirizzata a "Joseph Mares" (e non Michal) pensa di possedere ora una nuova prova delle "finzioni" del testimone: sarebbe del tutto inverosimile che un anno dopo aver fatto la conoscenza di Mares e partecipato insieme a diverse serate del Klub Mladych, Kafka "non conosca il suo nome". Ora, quest’argomento non regge, per una ragione molto semplice: secondo gli editori tedeschi della corrispondenza tra Kafka e Milena, il vero nome di Mares non era Michal ma... Joseph [17].

In quanto a Janouch, se Binder respinge come pura invenzione la versione del 1968 delle sue memorie, il riferimento agli anarchici in quella del 1951 gli sembra "possa essere basata su un vero ricordo". Ma si sbriga nel ridurla a poca cosa, assimilandola al passaggio menzionato della lettera a Milena: la conoscenza "per strada", del poeta Michal Mares. Ora, nella conversazione riportata da Janouch si parla di "anarchici" al plurale, "così gentili e così amabili", il che suppone che Mares sia lungi dall’essere il solo militante libertario incontrato da Kafka [18]. L’insieme della discussione di Hartmut Binder a questo proposito dà la penosa sensazione di un deliberato e sistematico tentativo- che fa di ogni erba un fascio- per eliminare dall’immagine di Kafka la macchia nera che sarebbe- in una visione politica conservatrice- la sua partecipazione a delle riunioni organizzate dai libertari praghesi.

Qualche anno dopo, nella sua biografia di Kafka- opera comunque meritevole di interesse- Ernst Pawel difende in modo evidente le stesse tesi di Binder: si tratta "di sotterrare uno dei grandi miti" collegati alla persona di Kafka, e cioè "la leggenda di un Kafka cospiratore in seno al gruppo anarchico ceco del Klub Mladych". Questa leggenda sarebbe dovuta "ai fertili ricordi dell’ex-anarchico Micha Mares che, nelle sue memorie un po’ fantasiose pubblicate nel 1946, descrive Kafka come un amico ed un compagno che partecipava a delle riunioni e a delle manifestazioni anarchiche". "La storia di Mares, sulla quale Gustav Janouch avrebbe in seguito anch’egli ricamato, si ritrova in diverse biografie di Kafka, che ce lo presentano come un giovane cospiratore e come un compagno di strada del movimento libertario ceco. Questo racconto è quindi completamente smentito da tutto quanto sappiamo della sua vita, dai suoi amici e dal suo carattere. Già poco credibile come cospiratore, come avrebbe potuto ed anche voluto dissimulare il suo impegno a degli amici intimi che egli vedeva tutti i giorni?" [19].

La "leggenda" è tanto più facile da smentire in quanto non corrisponde ad alcuna delle fonti in questione: né Kacha (non menzionato da Pawel), né Mares o Janouch- ed ancor meno Wagenbach- hanno mai preteso che Kafka fosse un "cospiratore in seno al gruppo anarchico". Mares insiste esplicitamente sul fatto che Kafka non era membro di alcuna organizzazione. Inoltre, non si tratta di "cospirazione" ma di partecipazione a delle riunioni che erano, nella maggior parte dei casi, aperte al pubblico. In quanto alla "dissimulazione degli amici intimi", cioè Max Brod, abbiamo già mostrato l’inanità di questo argomento. Ernst Pawel fornisce una ragione supplementare in appoggio alla sua tesi: è "inconcepibile" che "qualcuno che aveva quasi uno status di funzionario" sia sfuggito all’attenzione degli informatori della polizia. Ora, i fascicoli della polizia praghese "non contengono la minima allusione a Kafka" [20]. L’osservazione è interessante, ma l’assenza di un nome negli archivi dellal polizia non è mai stata in sé una prova sufficiente della non partecipazione, Inoltre, è poco probabile che la polizia disponesse del nome di tutti coloro che assitevano a delle riunioni pubbliche organizzate dai diversi club libertari: essa si interessava agli "agitatori", ai dirigenti di queste associazioni, piuttosto che alle persone che vi assistevano in silenzio... Tuttavia, Pawel si distingue da Binder per la sua disponibilità a riconoscere la validità dei fatti suggeriti da queste testimonianze, in una versione più attenuata: "La verità è più prosaica. Kafka conosceva effettivamente Mares [...] e senza dubbio ha potuto assistere a delle riunioni o a delle manifestazioni pubbliche, in quanto osservatore interessato. Le sue inclinazioni socialiste sono attestate da Bergmann e da Brod [...]. Negli anni che seguirono, sembra anche essere stato interessato dall’anarchismo filosofico e non violento di Kropotkin e di Alexandre Herzen" [21].

Non siamo così distanti dalle conclusioni di Wagenbach... Esaminiamo ora il punto di vista di Ritchie Robertson, autore di un notevole saggio sulla vita e l’opera dello scrittore ebreo praghese. A suo parere le informazioni fornite da Kacha e Mares devono essere "trattate con scetticismo". I suoi principali argomenti a questo proposito sono ripresi da Goldstücker e da Binder: coma mai un gruppo che si riunisce segretamente accetterebbe al suo interno un visitatore silenzioso "il quale, per il poco che ne sapevano, poteva essere una spia?" Come era possibile che Brod non sapesse nulla della partecipazione del suo amico a queste riunioni? Quale valore possiamo attribuire alla testimonianza di Mares, considerando che non era che una Gassenbekanntschaft di Kafka? In breve, "per tutte queste ragioni l’assitenza a delle riunioni anarchiche sembra essere proprio una leggenda". Inutile ritornare su queste obiezioni, di cui ho già mostrato sopra la poca consistenza. Ciò che è del tutto nuovo ed interessante nel libro di Robertson, è il tentativo di proporre un’interpretazione alternativa delle idee politiche di Kafka, che non sarebbero, secondo lui, né socialiste né anarchiche, ma romantiche. Quel romanticismo anticapitalista che non sarebbe né di sinistra né di destra [22]. Ora se l’anticapitalismo romantico è una matrice comune a certe forme di pensiero conservatrici e rivoluzionarie- ed in questo senso supera la tradizionale divisione tra destra e sinistra-, ciò non di meno gli stessi autori romantici si situano chiaramente ad un polo o l’altro di questa visione del mondo: il romanticismo reazionario o il romanticismo rivoluzionario [23].

Infatti, l’anarchismo, il socialismo libertario, l’anarcosindacalismo sono un esempio paradigmatico di "anticapitalismo romantico di sinistra". Di conseguenza, definire il pensiero di Kafka come romantico. il che mi sembra del tutto pertinente- non significa affatto che non sia "di sinistra", concretamente un socialismo romantico di tendenza libertaria. Come presso tutti i romantici, la sua critica della civiltà moderna è intrisa di nostalgia per il passato, rappresentato ai suoi occhi dalla cultura yiddish delle comunità ebraiche dell’Europa dell’Est. Con un’intuizione notevole, André Breton scriveva: "Benché sincronizzata al momento presente, [il pensiero di Kafka] gira simbolicamente all’indietro gli aghi dell’orologio della sinagoga di Praga" [24]. L’interesse per l’episodio anarchico nella biografia di Kafka (1909-1912), è che esso ci offre una delle chiavi più illuminanti per l alettura dell’opera- in particolare degli scritti a partire dall’anno 1912. Dico una delle chiavi perché il fascino di quest’opera viene anche dal suo carattere squisitamente polisemico, irriducibile ad ogni interpretazione univoca. L’ethos libertario si esprime in diverse situazioni che stanno nel cuore dei suoi principali testi letterari, ma innanzitutto dal modo radicalmente critico in cui è rappresentato il volto ossessivo ed angosciante della non-libertà: l’autorità. Come ha ben detto André Breton, "nessuna opera milita tanto contro l’ammissione di un principio sovrano estraneo a colui che pensa" [25].

Un anti-autoritarismo di ispirazione libertaria attraversa l’insieme dell’opera romanzesca di Kafka in un movimento di "spersonalizzazione" e di reificazione crescenti: dell’autorità paternale e personale verso l’autorità amministrativa ed anonima [26]. Ancora una volta, non si tratta di una qualsiasi dottrina politica, ma di uno stato d’animo e di una sensibilità critica- la cui arma principale è l’ironia, l’umorismo, quell’umorismo nero che è, secondo André Breton "una rivolta superiore dello spirito" [27]. Quest’atteggiamento ha delle radici intime e personali nel suo rapporto con il padre. L’autorità dispotica del pater familias è per lo scrittore l’archetipo stesso della tiranni politica. Nella sua Lettera al padre del 1919, Kafka ricorda: "Assumesti ai miei occhi il carattere enigmatico che hanno i tiranni il cui diritto non si fonda sulla riflessione, ma sulla loro propria persona". Confrontato con il trattamento brutale, ingiusto ed arbitrario degli impiegati di suo padre, si sente solidale con le vittime: "Ciò mi rese la bottega insopportabile, mi ricordava troppo la mia propria situazione nei tuoi confronti... È per questo che prendevo inevitabilmente la parte del personale..." [28].

Le principali caratteristiche dell’autoritarismo negli scritti letterari di Kafka sono: 1) L’arbitrario: le decisioni sono imposte dall’alto, senza giustificaione- morale, razionale, umana- nessuna, spesso formulando delle esigenze smisurate ed assurde verso la vittima; 2) l’ingiustizia: la colpevolezza è considerata- a torto- come evidente, andante da sé senza necessità di prova e le punizioni sono totalmente sproporzionate alla "colpa" (inesistenza o banale). Nel suo primo scritto importante, La Condanna, del 1912, Kafka pone in scena unicamente l’autorità paterna; è anche uno dei suoi rari scritti in cui l’eroe (Georg Bendemann) sembra sottomettersi del tutto e senza resistenza alla condanna autoritaria: l’ordine intimato dal padre a suo figli di gettarsi nel fiume! Comparando questo racconto con Il Processo, Milan Kundera osserva: "La somiglianza tra le due accuse, colpevolezza ed esecuzioni tradisce la continuità che lega l’intimo ’totalitarismo’ familiare a quello delle grandi visioni di Kafka" [29]. Nei due grandi romanzi Il Processo e Il Castello, si tratta invece di un potere "totalitario" perfettamente anonimo e invisibile.

America, del 1913-14, costituisce a questo proposito un’opera intermedia: i personaggi autoritari sono a volte delle figure paterne (il padre di Karl Rossmann e lo zio Jakob) a volte degli alti amministratori dell’Albergo (il Capo del personale ed il Portiere in capo). Ma anche quest’ultimi conservano un aspetto di tirannia personale, associante la freddezza burocratica con un dispotismo individuale meschino e brutale. Il simbolo di questo autoritarismo punitivo sorge sin dalla prima pagina del libro: demistificante la democrazia americana, rappresentata dalla celebre statua della Libertà all’entrata del porto di New York, Kafka sostituisce nella sua mano la torcia con una spada... In un mondo senza giustizia, la forza nuda, il potere arbitrario regna sovrana. La simpatia dell’eroe va alle vittime di questa società: come l’autista del primo capitolo, esempio della "sofferenza di un povero uomo sottomesso ai potenti", o la madre di Teresa, spinta al suicidio dalla fame e dalla miseria. Trova degli amici e degli alleati da parte dei poveri: Teresa stessa, lo studente, gli abitanti del quartiere popolare che rifiutano di consegnarlo alla polizia- perché, scrive Kafka in un commento rivelatore: "gli operai non sono dalla parte delle autorità" [30].

Dal punto di vista che qui ci interessa, la grande svolta nell’opera di Kafka è il racconto Nella colonia penale, scritta poco dopo America. Vi sono pochi testi nella letteratura universale che presentano l’autorità sotto un volto così ingiusto e criminale. Non si tratta del potere di un individuo- i Comandanti (vecchio e nuovo) non svolgono che un ruolo secondario nel racconto- ma di quello di un meccanismo impersonale. Il quadro del racconto è il colonialismo... francese. Gli ufficiali ed i comandanti della colonia sono francesi, mentre gli umili soldati, gli scaricatori di porto, le vittime che devono essere giustiziati sono degli "indigeni" che "non capiscono una sola parola di francese". Un soldato "indigeno" è condannato a morte da degli ufficiali la cui dottrina giuridica riassume in poche parole la quintessenza dell’arbitrio: "La colpevolezza non deve mai eesere messa in dubbio!" La sua esecuzione deve essere compiuta da una macchina da tortura che scrive lentamente sul suo corpo con degli aghi che lo perforano scrivendo: "Rispetta i tuoi superiori". Il personaggio centrale del racconto non è né il viaggiatore che osserva gli avvenimenti con una muta ostilità, né il prigioniero, che non reagisce affatto, né l’ufficiale che presiede l’esecuzione , né il Comandante della colonia. È la Macchina stessa. Tutto il racconto ruota intorno a questo sinistro apparecchio (Apparato), che sembra sempre più, nel corso della spiegazione molto dettagliata che l’ufficiale dà al viaggiatore, essere una fine in sé. L’Apparecchio non è là per giustiziare l’uomo, è piuttosto quest’ultimo che è là per l’Apparecchio, per fornire un corpo sul quale esso possa scrivere il suo capolavoro estetico, la sua iscrizione sanguinaria illustrata di "molti florilegi ed abbellimenti". L’ufficiale stesso non è che un servo della Macchina e, alla fine si sacrifica egli stesso a questo insaziabile Moloch [31].

A quale "Macchina del potere" concreta, a quale "Apparato d’autorità" sacrificatore di vite umane, pensava Kafka? Nella Colonia penale è stata scritta nell’ottobre del 1914, tre mesi dopo lo scoppio della Grande Guerra... In Il Processo e Il Castello, ritroviamo l’autorità come "apparato" gerarchizzato, astratto, impersonale: i burocrati, qualunque sia il loro carattere brutale, meschino o sordido, essi non sono che gli ingranaggi di questo meccanismo. Come ossserva con acutezza Walter Benjamin, Kafka scrive dal punto di vista del "cittadino moderno che si sa consegnato ad un apparato burocratico impenetrabile la cui funzione è controllata da istanze che restano sfumate anche ai suoi organiesecutivi, a maggior ragione per coloro che ne sono manipolati" [32].

L’opera di Kafka è nel contempo profondamente radicata nel suo ambiente praghese- come osserva André Breton, "sposa tutti i fascini, i sortilegi" di Praga [33]- e perfettamente universale. Contrariamente a ciò che si pretende spesso, i suoi due grandi romanzi non sono una critica del vecchio Stato imperiale austro-ungarico, ma dell’apparato statale in quanto ha di più moderno: il suo carattere anonimo, impersonale, in quanto sistema burocratico alienato, "cosificato", autonomo, trasformato in fine a se stesso. Un passaggio di Il Castello è particolarmente chiarificatore di questo punto di vista: è quello- piccolo capolavoro di umorismo nero- in cui il sindaco del villaggio descrive l’apparato ufficiale come una macchina autonoma che sembra lavorare "per se stessa": "Si direbbe che l’organismo amministrativo non può sopportare la tensione, l’irritazione che è durata per anni a causa dello stesso affare, forse infima in se stessa inoltre, e che esso pronunci da se stesso il verdetto senza ricorrere ai funzionari" [34]. Questa profonda intuizione del meccanismo burocratico come ingranaggio cieco, in cui i rapporti tra individui diventano una cosa, un oggetto indipendente, è uno degli apsetti più moderni, più attuali, più lucidi dell’opera di Kafka. L’ispirazione libertaria è iscritta nel cuore dei romanzi di Kafka, che ci parla dello Stato- sia esso sotto la forma dell’"amministrazione" o della "giustizia"- come di un sistema di dominio impersonale che schiaccia, soffoca o uccide gli individui. É un mondo angosciante, opaco, incomprensibile, in cui regna la non-libertà.

Si è spesso presentato Il Processo come un’opera profetica: l’autore avrebbe previsto, con la sua immaginazione visionaria, la giustizia degli Stati totalitari, i processi nazisti o staliniani. Bertolt Brecht, compagno di strada dell’URSS, osservava, in una conversazione con Walter Benjamin a proposito di Kafka nel 1934 (prima dei processi di Mosca): "Kafka non ha che un solo problema, quello dell’organizzazione. Ciò che lo ha afferrato, è l’angoscia di fronte allo Stato formicaio, il modo in cui gli uomini si alienano essi stessi attraverso le forme della loro vita comune. Ed ha previsto certe forme di questa alienazione, come ad esempio i metodi della GPU" [35]. Senza mettere in dubbio la pertinenza di quest’omaggio alla chiaroveggenza dello scrittore praghese, bisogna tuttavia ricordare che Kafka non descrive nei suoi romanzi degli Stati "d’eccezione": una delle più importanti idee- la cui parentela con l’anarchismo è evidente- suggerita dalla sua opera, è la natura alienata e oppressiva dello Stato "normale", legale e costituzionale. Sin dalle prime righe di Il Processo, è detta chiaramente: "K. viveva in uno Stato di diritto (Rechtstaat), la pace regnava ovunque, tutte le leggi erano in vigore, chi osava dunque assalirlo nella sua casa?" [36].

Come i suoi amici anarchici praghesi, sembra considerare ogni forma di Stato, lo Stato in quanto tale, come una gerarchia autoritaria e liberticida. Lo Stato e la sua giustizia sono anche, per la loro natura intima, dei sistemi menzogneri. Niente illustra meglio ciò del dialogo, in Il Processo, tra K. e l’abate a proposito dell’interpretazione della parabola sul guardiano della legge. Per l’abate, "dubitare della dignità del guardiano, sarebbe dubitare della Legge"- argomento classico di tutti i rappresentanti dell’ordine. K. obietta che se si adotta questa opinione, "bisogna credere tutto ciò che dice il guardiano", il che gli sembra impossibile: "No, dice l’abate, non siamo obbligati di credere vero tutto quel che dice basta che si tenga il necessario. Triste opinione, dice K., essa eleverebbe la menzogna all’altezza di una regola del mondo" [37]. Come fa osservare molto giustamente Hannah Arendt nel suo saggio su Kafka, il discorso dell’abate rivela "la teologia segreta e la credenza intima dei burocrati come credenza nella necessità per sé, i burocrati essendo in ultima analisi dei funzionari della necessità" [38].

Infine, lo Stato e i Giudici amministrano meno la gestione della giustizia che la caccia alle vittime. In un’immagine che è comparabile a quella della sostituzione della torcia della libertà con una spada in America, vediamo in Il Processo un quadro del pittore Titorelli che si presume rappresentare la dea della Giustizia trasformarsi, quando l’opera è ben illuminata, in celebrazione della dea della Caccia. La gerarchia burocratica e giuridica costituisce un’immensa organizzazione che secondo Joseph K., la vittima di Il Processo, "non soltanto utilizza dei guardiano venali, degli ispettori e dei giudici d’istruttoria stupidi... ma che mantiene anche tutta una magistratura di alto rango con il suo indispensabile corteo di valletti, di scribi, di gendarmi ed altri ausiliari, forse anche di carnefici, non indietreggio davanti alla parola" [39]. In altre parole: l’autorità dello Stato uccide. Joseph K. farà l’incontro dei carnefici nell’ultimo capitolo del libro, quando due funzionari lo mettono a morte "come un cane". Il "cane" costituisce presso Kafka una categoria etica- se non metafisica: è descritto così colui che si sottomette servilmente alle autorità, qualunque esse siano. Il commerciante Block inginocchiato ai piedi dell’avvocato è un esempio tipico: "Non era più ora un cliente, era il cane dell’avvocato. Se quest’ultimo gli avesse ordinato di entrare sotto il letto strisciando e di abbaiare come dal fondo di una tana, lo avrebbe fatto con piacere". La vergogna che deve sopravvivere a Joseph K. (ultime parole di Il Processo) è quella di essere morto "come un cane", sottometetndosi senza resistenza ai suoi carnefici. È anche il caso del prigioniero di Nella colonia penale, che non cerca nemmeno di fuggire e si comporta con una sottomissione "canina" (hündisch) [40].

Il giovane Karl Rossmann, in America, è l’esempio di qualcuno che tenta- senza mai riuscirvi- di resistere alle "autorità". Ai suoi occhi non diventano cani che "coloro che vogliono esserlo". Il rifiuto di sottomettersi e di strisciare come un cane appare così come il primo passo verso il camminare eretti, verso la libertà. Ma i romanzi di Kafka non hanno "eroi positivi", né di utopie future: ciò di cui si tratta, è di mostrare, con ironia e lucidità, la facies ippocratica della nostra epoca. Non è un caso se la parola "kafkiano" è entrata nel linguaggio corrente: essa designa un aspetto della realtà sociale che la sociologia o la scienza politica tendono ad ignorare, ma che la sensibilità libertaria di Kafka era meravigliosamente riuscita a captare: la natura oppressiva ed assurda dell’incubo burocratico, l’opacità, il carattere impenetrabile ed incomprensibile delle regole della gerarchia statale, così come essi sono vissuti dal basso e dall’esterno- contrariamente alla scienza sociale che si è limitata generalmente ad esaminare la macchina burocratica dall’"interno" o in rapporto a quelli "dall’alto" (lo Stato, le autorità, le istituzioni): il suo carattere "funzionale" o "disfunzionale", "razionale" o "pre-razionale" [41].

La scienza sociale non ha ancora elaborato un concetto per questo "effetto d’oppressione" del sistema burocratico reificato, che costituisce senza dubbio uno dei fenomeni più caratteristici delle società moderne, quotidianamente vissuto da milioni di uomini e di donne. Aspettando, questa dimensione essenziale della realtà sociale continuerà ad essere designata in riferimento all’opera di Kafka.

Michael Löwy

Traduzione di Ario Libert

BIBLIOGRAFIA di base.

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Camus, "L’espoir et l’absurde dans l’œuvre de Franz Kafka", in: Le Mythe de Sysiphe, Gallimard Paris, 1991, [Il mito di Sisifo, Bompiani].

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Guido Crepax, Il Processo di Franz Kafka, Piemme, Casale Monferrato, 1999 (versione a fumetti del romanzo di Kafka).

NOTE

[1] Cfr. Lucien Goldmann, Matérialisme dialectique et histoire de la littérature, [Materialismo dialettico e storia della letteratura], Recherches dialectiques, Paris, Gallimard, 1959, pp. 45-64.

[2] Hugo Bergmann, Erinnerungen an Franz Kafka, in Franz Kafka Exhibition (catalogue), The Jewish National and University Library, Jérusalem, 1969, p. 8.

[3] Max Brod, Franz Kafka, pp. 135-136; [Tr. it.: Kafka, Mondadori, Milano, 1956].

[4] Michal Mares, Comment j’ai connu Franz Kafka, publicato in appendice in Klaus Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse (1883-1912), Paris, Mercure de France, 1967; [Tr. it. in: Kafka, gli anni della giovinezza (1883-1912), Einaudi, Torino, 1979, pp. 205-211].

[5] Michal Mares, Setkani s Franzem Kafkou, Literarni Noviny, 15, 1946, p. 85 e seguenti. Questa versione- nella quale sarebbe Kafka stesso ad essere liberato su cauzione- è citata nell’altro libro di Klaus Wagenbach, Franz Kafka ins Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, Hamburg, Rowohlt, 1964, p. 70.

[6] G. Janouch, Kafka m’a dit, Paris, Calmann-Lévy, 1952.

[7] Meglio conosciuto con il suo pseudonimo di Pierre Ramus (n.d.r.).

[8] G. Janouch, Conversations avec Kafka, Paris, Maurice Nadeau, 1978, [Tr. it.: Conversazioni con Kafka, Guanda, Parma, 1991].

[9] Franz Kafka, Diaries et Briefe, Fischer Verlag, 1975, p. 196, [Tr. it.: Confessioni e Diari, Mondadori, Milano, 1976; Lettere, Mondadori, Milano, 1988; Lettere a Felice, Mondadori, Milano, 1972; Lettere a Milena, Mondadori, Milano, 1960. Vedere su Kafka et Otto Gross, G. Baioni, Kafka, Letteratura ed Ebraismo, Torino, Einaudi, 1979, pp. 203-205.

[10] M. Brod, Kafka.

[11] Vedere K. Wagenbach, Franz Kafka. Gli anni della giovinezza e Franz Kafka in Selbstzeugnissen (1964), p. 70, e anche Max Brod, Streitbares Leben 1884-1968, Munich-Berlin-Vienne, F. A. Herbig, 1969, p. 170, e Über Franz Kafka, Francfort, Fischer Bücherei, p. 190.

[12] E. Goldstücker, «Über Franz Kafka aus der Prager Perspektive 1963», in Goldstücker, Kautman, Reimann (ed.), Franz Kafka aus Prager Sicht, Prague, 1965, pp. 40-45. Goldstücker aggiunge un altro argomento: "La principale ragione del mio scetticismo sulla leggenda di un contatto prolungato ed intimo di Kafka con gli anarco-comunisti, è il fatto che in nessuna parte nell’opera di Kafka ritroviamo dei segni che fosse familiarizzato con i loro pensieri". Il suo atteggiamento verso la classe operaia non era quello del "socialismo moderno" ma quello dei socialisti utopici "ben prima di Marx". Alcune osservazioni su questo strano ragionamento: a) il termine "anarco-comunismo" è lungi dall’essere adeguato nel descrivere questi club dagli orientamenti molto diversi andanti dall’anarco-sindacalismo al pacifismo libertario; b) l’anarchismo non si definisce attraverso un atteggiamento comune tra la classe operaia (differenti posizioni esistono a questo proposito nella tradizione libertaria) ma attraverso il suo rifiuto di ogni autorità e dello Stato come potere istituito; c) la dottrina anarchica era nata prima di Marx e non è in rapporto alla sua opera che si è costituito il socialismo libertario.

[13] H. Binder, Kafka-Handbuch, Bd 1. Der Mensch und seine Zeit, Stuttgart, Alfred Kröner, 1979, pp. 361-362.

[14] Ibid. pp. 362 -363. L’idea che Kafka possa nascondergli certe informazioni non avva nulla di strano per Brod, che sottolinea nella sua autobiografia: "Al contrario di me, Kafka era di natura chiusa e non apriva a nessuno, nemmeno a me, l’accesso della sua anima; sapevo benissimo che teneva per sé delle cose importanti", Max Brod, Streitbares Leben, pp. 46-47.

[15] H. Binder, Kafka-Handbuch 1, p. 364. Cf. Kafka, Lettres à Milena, Paris, Gallimard, 1988, p. 270, [Lettere a Milena, Mondadori, Milano, 1960].

[16] Secondo Binder, «se Mares gli avesse veramente dato Le parole di un ribelle di Kropotkin, non si sarebbe trovato nel Diario di Kafka la seguente nota: "Non dimenticare Kropotkin!" Di nuovo, si capisce difficilmente il rapporto tra il fatto menzionato e la strana conclusione di Binder. Il solo aspetto della testimonianza di Mares che sembra poco compatibile (e ancora) con la lettera di Kafka a Milena, è l’episodio della cauzione che Kafka avrebbe pagato per la sua liberazione.

[17] M. Mares, in Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse, p. 254 ; H. Binder, Kafka Handbuch 1, pp. 363-364 ; F. Kafka, Briefe an Milena, Francfort, S. Fischer Verlag, 1983, p. 336 (n.d.l.r.).

[18] H. Binder, op. cit., p. 365.

[19] E. Pawel, Franz Kafka ou le cauchemar de la raison, Paris, Seuil, 1988, p. 162.

[20] E. Pawel, ibid., p. 162.

[21] Ibid., pp. 162-163. In un altro capitolo del libro, Pawel si riferisce a Kafka come ad un "anarchico metafisico molto poco dotato per la politica di partito", definizione che mi sembra del tutto pertinente. In quanto ai ricordi di Janouch, Pawel li considera come "plausibili" ma "soggetti a cauzione" (p. 80).

[22] R. Robertson, Kafka. Judaism, Politics and Literature, Oxford, Clarendon Press, 1985, pp. 140-141 : "Se si effettua una ricerca sulle inclinazioni politiche di Kafka, è infatti, un’errore pensare in termini dell’antitesi abituale tra sinistra e destra. Il contesto più appropriato sarebbe l’ideologia che Michael Löwy ha definito come "anticapitalismo romantico" [...]. L’anticapitalismo romantico (per adottare il termine di Löwy, anche se "anti-industrialismo" sarebbe più esatto) ha diverse versioni..., ma come ideologia generale trascende l’opposizione tra sinistra e destra". Robertson si riferisce qui al mio primo tentativo di rendere conto del "romanticismo anticapitalista", in un libro su Lukacs, ma c’è un malinteso evidente nella sua interpretazione della mia ipotesi.

[23] Ho tentato di analizzare il romanticismo nel mio libro Pour une sociologie des intellectuels révolutionnaires. L’évolution politique de Lukacs 1909-1929, Paris, PUF, 1976, [Per una sociologia degli intellettuali rivoluzionari. L’evoluzione politica di Lukacs 1909-1929], citato da R. Robertson dalla traduzione inglese pubblicata a Londra nel 1979) e più recentemente, con il mio amico Robert Sayre, in Révolte et mélancolie. Le romantisme à contre-courant de la modernité, Paris, Payot, 1992, [Rivolta e melanconia. Il romanticismo a contro-corrente della modernità].

[24] André Breton, presentazione di Kafka nel suo Anthologie de l’humour noir, Paris, Le Sagittaire, 1950, p. 263, [Tr. it.: Antologia dell’Humour nero, Einaudi, Torino, 1970.

[25] André Breton, Anthologie de l’humour noir, p. 264.

[26] Per un’analisi più dettagliata dell’anarchismo e del romanticismo nell’opera di Kafka rinvio al mio libro Rédemption et Utopie. Le judaïsme libertaire en Europe centrale, Paris, PUF, 1988, capitolo 5 [Redenzione e utopia. Il giudaismo libertario in Europa centrale, Tr. it.: Bollati Boringhieri, Torino, 1992].

[27] André Breton, Paratonnerre, introduction à l’Anthologie de l’humour noir, [Antologia dell’humour nero, Einaudi, Torino, 1970].

[28] Franz Kafka, Lettre au père, 1919, [Lettera al padre, Mondadori].

[29] Milan Kundera, "Quelque part là-derrière", le Débat, n° 8, juin 1981, p. 58.

[30] Franz Kafka, Amerika, Francfort, Fischer Verlag, 1956, p. 15, 161.

[31] Franz Kafka, In der Strafkolonie, Erzählung und kleine Prosa, New York, Schocken Books, 1946, [Nella colonia penale, Tr. it.: in Kafka, Racconti, Mondadori, Milano, 2001, pp. 285-318].

[32] Walter Benjamin, Lettre à G. Scholem, 1938, in Correspondance, Paris, Aubier, 1980, II, p. 248.

[33] André Breton, Anthologie de l’humour noir.

[34] Kafka, Il castello.

[35] Cfr. W. Benjamin, Essais sur Brecht, Paris, Maspero, 1969, p. 132.

[36] Kafka, Der Prozess, Francfort, Fischer Verlag, 1979, p.9.

[37] Kafka, Il processo.

38] H. Arendt, Sechs Essays, Heidelberg, Lambert Schneider, 1948, p. 133.

[39] Il processo.

[40] Il processo e Nella colonia penale.

[41] Come sottolinea con perspicacia Michel Carrouges: "Kafka Abdica il punto di vista corporativo degli uomini di legge, queste persone istruite e ben educate che credono di capire il perché delle cose della legge. Li considera, al contrario, essi e la loro legge, dal punto di vista della massa dei miserabili assoggettati che subiscono senza capire. Ma poiché rimane Kafka, egli eleva quest’ignoranza ordinariamente ingenua all’altezza di un’ironia superiore, straripante di sofferenza ed umorismo, di mistero e di lucidità. Smaschera tutto quel che c’è di ignoranza umana nel sapere giuridico e di sapere umano nell’ignoranza degli aserviti". (M. Carrouges, "Dans le rire et les larmes de la vie", Cahiers de la compagnie M. Renaud-J.-L. Barrault, Paris, Julliard, ottobre 1957, p. 19).

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Franz Kafka et le socialisme libertaire